WTFF4, premiati “L’ora d’acqua”, “Am Cu Ce – Pride” e “Being and becoming”

Si è conclusa il 5 ottobre a Vicenza la quarta edizione di Working Title Film Festival, festival del cinema del lavoro, diretto da Marina Resta, che ha ospitato nella città berica, dal martedì primo ottobre a sabato sera, 30 registi e professionisti del cinema provenienti da 10 paesi oltre all’Italia.

Miglior lungometraggio

La giuria della sezione di concorso WTFF ha assegnato il premio per il miglior lungometraggio a Claudia Cipriani per il documentario “L’ora d’acqua” in cui la regista milanese, scrivono i giurati Ilaria Fraioli e Claudio Casazza nelle motivazioni, “racconta un mestiere inusuale e mai veramente visto al cinema, quello del palombaro, e ci riesce fondendo realtà e immaginazione. Realizza così un film quasi di avventura, di quella interiore e fantasiosa, dove la leggerezza dell’infanzia ci fa vivere un mondo in cui l’acqua è un elemento vitale per la vita e l’immaginazione, e nella visione della regista è anche utero materno sempre vivo”.

Miglior cortometraggio

Premio per il miglior cortometraggio a “Am Cu Ce – Pride” della tedesca Hannah Weissenborn i cui protagonisti sono camionisti romeni costretti a lavorare oltre il consentito, sacrificando le ore di sonno, per stare al passo con i ritmi sfiancanti della logistica. “Il film – scrive la giuria – riesce a rappresentare una questione di grande attualità come la contraddizione tra ragionevolezza, esigenze di mercato e bisogni umani”.

Menzioni speciali al lungometraggio “Drømmeland” dell’olandese Joost van der Wiel – su un uomo che fugge dalla civiltà per vivere tra i monti della Norvegia con il suo cavallo, ma senza rinunciare alla tecnologia del suo smartphone – e al cortometraggio “Hoa” di Marco Zuin, documentario su una guaritrice tradizionale vietnamita.

Miglior film Extraworks

Nella sezione Extraworks – dedicata al cinema sperimentale e alla videoarte – la giuria formata da Ilaria Pezone e Riccardo Palladino ha assegnato il primo premio a “Being and becoming” di Maite Abella, spagnola residente nei Paesi Bassi, che riflette, si legge nelle motivazioni, “sull’immagine che ci si crea di se stessi, come aspettativa personale e sociale, mettendo in discussione l’autenticità dei propri sogni e desideri”. Menzione speciale a “Mitten” dei belgi Olivia Rochette e Gerard-Jan Claes, che “filma il lavoro artistico/culturale, spesso impalpabile, senza artifizi”.

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Venti i film in concorso: dai documentari, film di finzione e ibridi, proiettati al Cinema Odeon, fino ai lavori più visionari e non-narrativi ospitati nell’ultima giornata nella sezione Extraworks allo spazio Zerogloss. Prima mondiale per “Cold Blow Lane”, un “neo-noir” ambientato a Londra con l’attrice Susan Lynch, già vista in “Ready Player One” di Steven Spielberg.
Il festival si è aperto il primo ottobre alla Bottega Faustino con la presentazione del libro “La dissolvenza del lavoro” da parte dell’autore, il giornalista e critico e Emanuele Di Nicola, che racconta 50 le pellicole sul tema degli ultimi 20 anni, dai disoccupati ballerini di “Full Monty” fino all’anziano lavoratore schiacciato nei labirinti del welfare contemporaneo protagonista di “I, Daniel Blake” di Ken Loach.
Le proiezioni del concorso principale si sono tenute al Cinema Odeon, mentre quelle della sezione Extraworks sono state ospitate, sabato, da Zerogloss Design Store, dove si è svolto anche il primo meeting “Work in progress” tra produttori e registi che hanno presentato in anteprima progetti di film sul tema del lavoro ancora in fase di sviluppo.

Le motivazioni delle giurie

• Giuria WTFF4, Claudio Casazza e Ilaria Fraioli

Premio miglior lungometraggio: “L’ora d’acqua” di Claudia Cipriani (Italia)
Il cinema di Claudia Cipriani è sempre delicato e coinvolgente, in questo film racconta un mestiere inusuale e mai veramente visto al cinema, quello del palombaro, e ci riesce fondendo realtà e immaginazione. Realizza così un film quasi di avventura, di quella interiore e fantasiosa, dove la leggerezza dell’infanzia ci fa vivere un mondo in cui l’acqua è un elemento vitale per la vita e l’immaginazione, e nella visione della regista è anche utero materno sempre vivo.

Premio miglior cortometraggio: “Am Cu Ce – Pride” di Hannah Weissenborn (Germania)
Il film riesce a rappresentare una questione di grande attualità come la contraddizione tra ragionevolezza, esigenze di mercato e bisogni umani coniugando con eleganza e consapevolezza i codici del cinema finzionale con quelli del cinema di realtà e portandoci al cuore del problema senza sconti ne scorciatoie. Degna di nota anche la scelta del formato 4:3 che centra l’attenzione visiva sulla fisicità del protagonista e più in generale sull’importanza dei corpi nel mondo del lavoro contemporaneo.

Menzione speciale lungometraggio: “Drømmeland” di Joost van der Wiel (Olanda)
Per la sua particolare capacità evocativa attraverso immagini che emancipandosi dal contesto di pura osservazione assumono un valore filosofico universale e per l’ottima costruzione di montaggio.

Menzione speciale cortometraggio: “Hoa” di Marco Zuin (Italia)
Perché è un film che racconta la trasformazione del nostro mondo: il regista, attraverso una giovane donna e la sua conoscenza della medicina tradizionale vietnamita, avvicina lo spettatore alla natura ma al contempo ci fa comprendere come sia brutale la crescente urbanizzazione e distruzione di questo habitat naturale.

• Giuria Extraworks, Riccardo Palladino e Ilaria Pezone

Premio miglior film Extraworks: “Being and becoming” di Maite Abella (Paesi Bassi)
Abbiamo ritenuto che la regista sia riuscita ad andare oltre l’autorappresentazione, riflettendo sull’immagine che ci si crea di se stessi, come aspettativa personale e sociale, mettendo in discussione l’autenticità dei propri sogni e desideri. Il lavoro coniuga in modo originale ed elegante i contenuti e la loro espressione, proponendo rimandi cinematografici e dando un senso a ogni livello di immagine: le sovrapposizioni richiamano un immaginario di una società che definisce  modelli culturali e sociali netti e a  volte violenti; allo stesso tempo l’approccio personalistico consente un linguaggio fresco e intimo, rendendo il film vitale e profondo.

 

Menzione speciale Extraworks: “Mitten” di Olivia Rochette e Gerard-Jan Claes (Belgio)
Il documentario, osservativo, filma il lavoro artistico/culturale, spesso impalpabile, senza artifizi; il ritmo naturale dell’azione permette di entrare gradualmente nel vivo della fatica preparatoria. La macchina da presa è sovente  rivolta sul gesto della costruzione corporea, a prescindere dall’opera in sé; non si entra nell’intimità dei personaggi ma è percepibile la loro abnegazione/dedizione. Di notevole fattura la fotografia.

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